Il lieto fine di Claire, mamma di una bella bambina dopo l’intervento in laparotomia

Pubblico con piacere la testimonianza di Claire perchè un lieto fine di questo non può esserci. Dopo aver infatti affrontato una laparotomia per rimuovere un grosso fibroma, Claire ha coronato il suo sogno di maternità ed ha dato alla luce una bellissima bambina.

Condivido in pieno il pensiero di Claire, che ci ricorda che ogni caso è a sè e che non esiste una soluzione, o un tipo di intervento, che è sempre, in ogni caso, migliore e da preferire agli altri. Davvero ognuna ha la sua storia e davvero ognuna deve cercare la sua strada e ciò che “va meglio” per lei.

Ciao, mi chiamo Claire, vivo vicino Bologna, ho quarantatré anni e nel 2016 ho subito una miomectomia laparotomica per asportazione di un fibroma di quindici centimetri.

Tutto iniziò quando avevo circa trentatré anni. Da qualche tempo, avevo notato che i miei flussi mestruali erano diventati più abbondanti di prima e pertanto iniziavo ad accusare anche una certa stanchezza. Mia madre mi diceva di non preoccuparmi perché con l’età il ciclo si modifica. Ero single, per cui, sbagliando, non mi controllavo tutti gli anni, a parte il pap test di screening.
Un paio di anni dopo la situazione peggiorò e finalmente mi decisi a fare un controllo. Non avevo un ginecologo di fiducia ed incappai in una dottoressa molto allarmista che, mentre mi visitava, mi chiese: “Ma è sicura di avere avuto l’ultimo ciclo una settimana fa? Lei ha un utero ingrandito come al quarto mese di gravidanza!”.
Io le risposi che ero sicura di quel che dicevo e che non avevo rapporti da un bel po’ di tempo, al che lei quasi urlando: “Oddio, oddio, bisogna fare subito un’ eco transvaginale, potrebbe essere di tutto!”.
Vi lascio immaginare il mio terrore, da un semplice controllo per mestruazioni abbondanti, a vedersi scorrere dinanzi il film della propria vita.

Per farla breve, mi venne diagnosticato un fibroma di tredici centimetri. La dottoressa voleva mandarmi dall’amico dell’amico in tal clinica. Ero spaesata, non sapevo cosa fare. Avevo molta paura, ma tornai lucida e inizia a fare moltissime ricerche. Dopo un bel po’ di domande, consulti e giri in rete, incappai nel Dottor De Iaco del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, un luminare nel suo campo e, cosa fondamentale quando si deve necessariamente optare per una laparotomia – come era emerso da diverse visite con differenti ginecologi – un chirurgo dalle mani d’oro, che tende sempre a preservare la fertilità.

Alla visita mi rassicurò e mi disse che l’intervento non è una passeggiata certo, ma nemmeno un’impresa titanica. Questa cosa, detta da un medico che fronteggia quotidianamente casi ben più disperati del mio, mi tranquillizzò parecchio.
Successe, però, che mi lasciai prendere dal lavoro, da un trasferimento e, insomma, quando mi chiamarono, rimandai e poi rimandai ancora finché, a trentotto anni, conobbi il mio attuale compagno e capii di poter avere una speranza di diventare madre.
Ovviamente sconsiglio a tutte di seguire il mio esempio, ma la mia è una storia di molte ospedalizzazioni pregresse e, in più, a parte il ciclo un po’ più abbondante, quel bestione era quasi asintomatico, motivo che comunque non mi esonera dall’essere stata parecchio avventata.
De Iaco mi visitò nuovamente e, nel frattempo, il fibroma era arrivato a quindici centimetri ed io iniziavo ad accusare, oltre a cicli sempre più abbondanti, anche parecchio mal di schiena e problemi con la minzione.

Ah, vorrei precisare un paio di cose che possono tornare utili ad altre. A volte, non si può evitare una laparotomia e i motivi possono essere svariati, tra questi dimensione e sede del fibroma per cui, in quel caso, cercate un ginecologo chirurgo davvero bravo, che sappia ricostruire bene l’utero e abbia esperienze nel limitare le aderenze post operatorie. Ricordatevi, se è il vostro caso, di dire chiaramente che avete intenzione di cercare una gravidanza.

Chiesi al dottore se era il caso di assumere farmaci per rimpicciolire il fibroma e lui mi disse che, a volte, questo può essere controproducente perché, da quel che ho capito, il fibroma cambia consistenza, per cui poi può essere più difficoltoso “scapsularlo”, rischiando di essere meno precisi. Poi, sapendo che ero desiderosa di provare ad avere una gravidanza, decise di non rimuovere un altro piccolo fibroma di un centimetro perché, per sede e dimensione, era più rischiosa l’ulteriore cicatrice.
Tutto questo per dire che ogni caso è a sé, non c’è la procedura giusta per tutti e non necessariamente la chirurgia tradizionale va demonizzata poiché, in alcuni casi, può essere l’unico modo per svolgere un lavoro eccellente.
E nel mio caso, visto l’epilogo lieto, devo dire che il dottore ci aveva visto giusto.

L’intervento durò circa due ore e quaranta minuti, il post operatorio è stato abbastanza duro, ma nulla che non si possa sopportare. Il dottore mi consigliò di attendere un anno prima di provare ad avere una gravidanza.
Iniziammo le ricerche ad un anno esatto dall’intervento e, dopo alcuni mesi, a quarantuno anni compiuti, restai incinta naturalmente.
Mi venne proposto il cesareo elettivo perché un travaglio di prova, in uteri già parecchio cicatrizzati, è rischioso. Ascoltai i medici, sebbene temessi un post operatorio duretto come quello della miomectomia. Non so se sia stato il mio caso, ma non c’è paragone, il cesareo è stato molto meno doloroso.

Adesso sto bene, tengo sotto controllo il piccolo fibroma, che con la gravidanza si è rimpicciolito, e un po’ tutto il mio utero fibromatoso.

Ragazze, controllatevi, e non rimandate come ho fatto io, perché poi si rischia veramente di non potere diventare madri se lo si desidera.

Grazie Claire per aver condiviso la tua storia e buona nuova vita con la tua famiglia!

Ricetta di Esmya a Milano: chi può aiutare Rosa?

Questa è la storia di Rosa. Una storia che è “piena”, ne sono certa, di tutto quello che in molte abbiamo vissuto. Una storia “piena” di medici incompetenti e superficiali, “piena” di indelicatezza e cafonaggine, “piena” di paura di solitudine, “piena” di complicata burocrazia. Una storia simile a quella che ho vissuto io, e simile alle vostre.

La storia di Rosa mi ricorda che purtroppo siamo ancora circondate da medici incapaci e che è davvero difficile affidarsi a cuor leggero al consiglio di uno specialista piuttosto che a quello di un altro. Mi ricorda anche però che insieme siamo più forti. Ogni giorno un po’ di più.

Amiche, Rosa ha bisogno di un ginecologo a Milano che possa prescriverle Esmya. Chi può aiutarla?

 

Mi chiamo Rosa, ho 32 anni, sono di Foggia ma vivo a Milano da 6 anni.

Il mio calvario con i fibromi o meglio con il fibroma è iniziato a dicembre 2017. Già nel 2014, durante una normale visita, la ginecologa scopre questo mioma piccolissimo, 8 mm, mi dice che non era niente, una fesseria, e mi rimanda all’anno successivo per un altro controllo.
Faccio la mia vita normale con un ciclo che è sempre stato abbondante e doloroso, ma è così da sempre quindi non mi preoccupo più di tanto, fino a quando nel 2017 comincio a notare che non è più lo stesso. Il flusso è più forte, i dolori anche, il gonfiore dura fino al 5 giorno e in tutto le mestruazioni impiegano quasi 10 giorni per finire. Così rientrata in Italia da un’esperienza all’estero di 5 mesi vado a farmi un controllo alla clinica Mangiagalli.

Il fibroma intramurale-sottomucoso misura 4,5 cm, avevo fatto anche l’emocromo ed ero già un po’ anemica per via delle perdite. La ginecologa, una donna molto giovane, forse qualche anno più di me, mi dice che quando si opera un fibroma c’è un’alta probabilità che si riformi e dato che io non avevo avuto gravidanze e sono giovane non potevano mica stare ad aprire e chiudere ogni volta. Così, con lo stesso tono di voce del Commendatore dei film di De Sica e Boldi, pronuncia testuali parole: “Lei ora fa così, prende la pillola, nel frattempo trova l’uomo della sua vita, decide di fare un bambino e un anno prima si opera”.
Esco scioccata da quella visita, “ma come perdo un sacco di sangue, ho l’emoglobina a 11,9 e questa mi dice di prendermi la pillola e trovarmi un uomo???

Dopo qualche giorno torno a casa mia in Puglia per le vacanze di Natale e inizio ad avere spotting, cosa stranissima per me, ma anche lì cerco di non farmi prendere dall’ansia, mi dico sarà una perdita senza importanza, magari l’ovulazione, e invece no. Il 24 dicembre, nel pieno del caos cittadino della vigilia, ho un’improvvisa perdita di sangue, uguale a quella di una mestruazione come quantità, ma non poteva essere il ciclo perché doveva arrivarmi a gennaio. Passo le vacanze con queste perdite continue, tutti i giorni, vado a farmi visitare da un ginecologo della mia città per capire come mai perdessi sangue così. Il ginecologo senza mezzi termini mi dice che devo operarmi, è il fibroma a causarmi queste perdite e la pillola non sarebbe servita comunque a niente. Mi dice che posso scegliere tra laparotomia, laparoscopia e isteroscopia, ma quest’ultimo intervento a Foggia non lo fanno. Mi prescrive il Tranex per le emorragie e mi dice che se voglio posso anche provare a prendere la pillola ma secondo lui non avrei risolto molto.

All’arrivo del ciclo a gennaio inizio la pillola (almeno per provare a vedere se le perdite diminuivano). Ho un ciclo devastante, non facevo in tempo a passare dalla sedia al bagno che ero tutta allagata. Nel frattempo rientro a Milano e vado a farmi visitare da un ginecologo chirurgo del San Raffaele il quale mi dice di proseguire con la pillola e di rivederci dopo tre mesi per valutare se la pillola stava avendo effetto oppure se era il caso di procedere con l’intervento. Il primo mese di pillola la situazione sembra abbastanza tranquilla, non ho perdite al di fuori del ciclo, ma a partire dalla seconda scatola il ciclo non si ferma più.
Una sera poi, di ritorno da una giornata in un centro commerciale fuori Milano, appena scesa dal pulmann ho un’emorragia spaziale, così forte che non riesco neanche a camminare. Mi reco in pronto soccorso al San Giuseppe dove un ginecologo, un acidone in evidente andropausa, mi fa l’ecografia e mi liquida con un “è il fibroma, continui la pillola e prenda il tranex al bisogno. Ma deve farsi mettere in lista per l’operazione”. A questo punto torno dal ginecologo del San Raffaele, gli racconto dell’emorragia e lui mi dice di sospendere la pillola perché tanto non faceva effetto. Mi scrive un’altra pillola più forte e mi dice di prenderla a partire dalla prossima mestruazione. Sospendo la pillola la sera e puuff la mattina dopo di nuovo un lago di sangue. Per due giorni mi drogo di Tranex, metto il ghiaccio sulla pancia, gli telefono chiedendogli se dovevo partire con la nuova pillola e mi dice che ormai era inutile, era meglio andare in ospedale se le perdite continuavano.

In tutto ciò ero diventata più bianca di un cadavere, prendevo gli integratori di ferro da dicembre, ma con quelle perdite era del tutto inutile. Il lunedì sera vado in ospedale al San Raffaele per la seconda volta in 10 giorni, mi fanno l’emocromo e decidono di tenermi lì la notte perché l’emoglobina è a 8,5. La mattina dopo mi rifanno il prelievo e l’emoglobina è ancora più bassa, 7,4.
A quel punto mi ricoverano per farmi le trasfusioni, tre sacche di sangue e l’emoglobina risale a 10. Inizialmente volevano operarmi subito visto che mi trovavo in ospedale, ma dato che l’emoglobina non era ancora a livelli ottimali decidono di mettermi in “menopausa” con l’Enantone per tre mesi. Mi dimettono dall’ospedale con la notizia che secondo loro l’intervento più adatto al mio caso era una laparotomia (per un fibroma di 3 cm!).

Torno a casa completamente confusa e smarrita. Non riuscivo a immaginare di dover andare sotto i ferri e di farmi aprire l’utero. Leggo tantissime cose su Internet su questo tipo di intervento, i punti, il dolore, la fatica di riprendersi, il rischio di aderenze. In più ero spaventata dall’idea di passare tre mesi in “menopausa”. Certo ero felice di non avere il ciclo, ma avrei avuto le vampate e questa cosa mi metteva un’ansia assurda, soprattutto perché in tutto questo casino mi avevano preso a lavorare in un’azienda importante e già mi vedevo fare le figuracce con le caldane che mi infuocavano all’improvviso.

Ma non avevo molta scelta, se non bloccavo il ciclo, il sangue non si fermava, così mi faccio coraggio e faccio la puntura. Da quando avevo avuto la prima emorragia avevo preso a indossare i Tena pants per paura di perdite ingenti che l’assorbente normale non avrebbe contenuto. Così a 31 anni mi sono trasformata in una 50enne che indossava assorbenti enormi in attesa di entrare in menopausa per avere una tregua da tutto quel sangue e provare a fare una vita normale. Vado anche da un altro ginecologo per chiedere un altro parere sulla situazione, il peggiore che abbia mai incontrato in vita mia, ha trattato malissimo mia madre e dopo avergli comunicato che avevo 31 anni, non avevo un ragazzo e di conseguenza non avevo neanche in programma gravidanze ha continuato per tutta la visita a ripetermi “ti devi svegliare, ti devi svegliare”.

Comunque il farmaco fa effetto dopo un mese, il ciclo di marzo è lunghissimo (2 settimane), temevo che non si fermasse più, ero disperata, chiamavo il medico che non mi dava poi tante rassicurazioni, diceva che si sarebbe dovuto fermare, ma ad alcune donne funzionava ad altre no, poi finalmente a fine marzo inizio a vedere tutto bianco e naturalmente iniziano anche gli effetti collaterali.
Vampate, dolori ossei e muscolari, sbalzi di umore, gonfiore, dolori addominali e alle ovaie, insonnia, vulcani di acne in faccia, irritabilità, stanchezza diventano i miei compagni di vita in quei mesi. Ma va bene tutto pur di non avere emorragie e coaguli. Sopporto tutto ma la notte mi sveglio di continuo col pensiero che di lì a pochi mesi mi avrebbero aperto l’utero e avrei avuto una cicatrice dentro e fuori. A quel punto decido di chiedere altri pareri sul tipo di operazione più adatta a me, le perdite si erano finalmente fermate ed ero più serena anche per poter girare altri medici.

Vado da un medico di Avellino che con grande fermezza mi dice “Il suo fibroma si può togliere in isteroscopia! No tagli, no cicatrici, niente di tutto ciò”. Ma come? Al San Raffaele sono stati categorici: si può fare solo in laparotomia! Adesso chi ha ragione?
Sempre più confusa decido di andare al Niguarda. In realtà avevo sentito parlare della tecnica HIFU e volevo avere maggiori informazioni, quindi mi faccio visitare dal primario per sapere cosa ne pensava tra laparotomia e isteroscopia e con l’occasione chiedere anche di questa nuova tecnica. Anche questo ginecologo è concorde con l’isteroscopia, ma secondo lui non si sarebbe potuto togliere tutto in un’unica seduta, quindi bisognava procedere con l’intervento in due tempi. Quanto agli HIFU dice che nel mio caso non era adatto e che il loro macchinario era anche rotto.
Alla fine decido per il Niguarda (anche per questioni di comodità logistiche), ma dato che stavo per finire i tre mesi di Enantone e non si riusciva a organizzare l’intervento nell’immediato mi danno un’altra fiala da tre mesi, per evitare il ritorno del ciclo emorragico. Altri tre mesi senza ciclo, il peso che nel frattempo aumenta sempre di più, divento gonfissima e con tantissima cellulite, e tutti gli altri effetti a cui ormai cercavo di non dare troppo peso.

Finalmente arriva l’intervento il 3 settembre. L’isteroscopia è una passeggiata in confronto a tutto quello che ho passato i mesi precedenti, solo qualche perdita (anzi perdo molto di più con il mio ciclo) e qualche dolore tipo crampi, ma tutto bene. Non hanno tolto tutto, hanno lasciato la parte intramurale da togliere con il secondo intervento. Mi dimettono il pomeriggio alle 17,30 con la lettera di dimissioni dove mi invitano a tornare al controllo dopo un mese per poi programmare il secondo intervento.

Vado al controllo sempre dal primario del Niguarda il quale con grande sorpresa decide di non procedere subito al secondo intervento ma di aspettare. Il fibroma rimasto era di circa 2 cm. Io un po’ perplessa gli dico “ma non possiamo fare l’intervento? Per me non è stato assolutamente pesante! Anzi” e lui mi risponde “sì si può fare ma aspettiamo prima che ritorni il ciclo post enantone, poi vediamo, se non è necessario possiamo aspettare” “Vabbè ma sarebbe comunque un’isteroscopia?” “Sì certo!” “E se tornano le emorragie?” “Allora adesso le do la pillola”. Mi dà appuntamento dopo 6 mesi per rivalutare tutto.
Io, da grandissima stupida e ingenua, mi fido. Dopotutto mi seguiva lui, mi avevano operato, poi è un primario, saprà il fatto suo! Così comincio la pillola e torno al controllo di aprile. E qui la sorpresa.
Dall’ecografia sembra che il fibroma sia troppo vicino al miometrio e l’isteroscopia non riuscirebbe a toglierlo, anzi potrebbe addirittura bucare l’utero, così mi prescrive un’isterosonografia per vedere meglio la cavità e l’utero. A quel punto ero così esaurita e stanca che gli dico “facciamo la laparoscopia se l’istero non va bene!” e lui “eh mi pare di capire che lei vuole risolvere il problema anche facendosi tagliare una gamba”, poi per dare un’ulteriore prova della sua spiccata simpatia, a fine visita, alla mia domanda “dottore ma sono messa così male?” mi risponde “No non è messa male, ma non ha neanche l’utero migliore del mondo”. Strano modo di infondere fiducia a una paziente.

2 mesi per riuscire a fare l’esame tra ricette sbagliate, chiamate al numero verde e ricerca di un ospedale che non mi facesse aspettare 6 mesi, poi alla fine trovo posto alla Melloni. Grazie al cielo il ginecologo che mi fa l’esame è simpatico, mi mette a mio agio, scherza e nonostante l’esame sia anche un po’ doloroso per me, non resto poi tanto traumatizzata. Tuttavia il simpaticone del Niguarda ci aveva visto bene, il fibroma che nel frattempo è arrivato a 4 cm, si è spiaggiato su tutta la parete, non ha lasciato manco uno spazietto dal miometrio e l’unica è intervenire per via addominale, addirittura in minilaparotomia perché in laparoscopia sarebbe difficile ricostruire la parete.
L’intervento che avevano voluto evitare all’inizio ora è invece una triste realtà.

Mi sento una schifezza. Avvilita, sconfitta, sopraffatta.

Ho passato dei momenti orribili con quelle emorragie, ho sopportato un farmaco pesantissimo per otto mesi, sono arrivata a pesare quasi 70 kg da 60, senza distinguere più il punto vita dalle cosce, mi sono sentita dire da gente che non sapeva niente del mio problema che ero ingrassata e dovevo mettermi a dieta, ho visto persone farsi una risata quando dicevo che mi avevano messo in “menopausa” con un farmaco, mi sono sentita giudicata dai medici perché a 31 anni non avevo avuto figli e non li avevo neanche in programma, sono stata trattata con sufficienza e superficialità “tanto si tratta di una patologia benigna!”, ho vissuto con le vampate, i dolori, l’angoscia dell’intervento, la stanchezza e le ginocchia di legno pure nel fare una rampa di scale, e tutto questo mostrandomi sempre sorridente e tranquilla all’esterno, perché alla fine ci sono malattie peggiori e tutto sommato non è la fine del mondo avere un fibroma, ce l’hanno in tante!
E invece dopo pochi mesi, per colpa di un primario (sottolineo primario) che ti dice aspettiamo, mi trovo peggio di prima, non ho neanche più la possibilità di evitare il taglia e cuci.

A luglio sono stata da Camanni a Torino.
È rimasto scioccato dal mio racconto, a partire dal San Raffaele che voleva fare una laparotomia per 3 cm di fibroma per finire al Niguarda che non ha fatto subito il secondo intervento mettendomi nella condizione di non poter più intervenire nel modo meno invasivo.
Camanni mi ha detto chiaramente che il tutto si poteva risolvere con tre mesi di analogo e un’isteroscopia, mi ha sconsigliato di fare l’intervento per via addominale perché dovrebbero aprire l’utero dalla cavità e si andrebbe a indebolire l’organo, inoltre se dovessi mai avere gravidanze non potrei fare il parto naturale. Però mi ha dato una speranza. Mi ha consigliato Esmya per tre mesi, per provare a ridurre il fibroma. Se la chimica fa il suo corso si potrebbe poi procedere con l’isteroscopia. Non è detto che funzioni, ma è un tentativo da fare prima di andare direttamente ad aprire. Milano mi ha fatto penare tantissimo con questa storia, chissà magari Torino mi porterà più fortuna stavolta…

So che esmya dà un sacco di effetti collaterali e tante donne non hanno visto il fibroma diminuire, ma il medico dice che avendo avuto una riduzione del fibroma con l’Enantone l’anno scorso ci sono buone possibilità che anche esmya funzioni.
Ma non è ancora finita. Perché come se non bastasse ora ci si è messa anche la burocrazia italiana a mettermi i bastoni tra le ruote.
Il mio medico di base di Milano si rifiuta di farmi la ricetta dell’esmya perché il piano terapeutico che mi ha fatto Camanni afferisce alla Regione Piemonte e lei “può scrivere solo farmaci con piano terapeutico della regione Lombardia”. Mi ha mandato alla Asl la quale a sua volta mi ha rimbalzato alla mia regione di residenza che avrebbe dovuto inserire il piano terapeutico nel sistema in modo che fosse visibile a livello nazionale. L’Asl di residenza (per la cronaca Foggia) non vuole procedere dando come giustificazione che esmya in Puglia non è mutuabile e quindi il mio piano terapeutico non può essere messo a sistema. Cosa falsissima tra l’altro perché esmya in Puglia è più che mutuabile. Nel frattempo sono tornata dal medico di base per informarla e per chiedere consiglio, soprattutto per chiedere se conosceva qualche ginecologo di Milano a cui potermi rivolgere per farmi scrivere l’esmya. Mi ha praticamente messa alla porta, dicendo che sono cose illegali, che devo andare a farmi le visite e chiedere se esistono farmaci alternativi all’esmya perché “è impossibile che non ci sono altri farmaci, è una cosa così diffusa”. Altro consiglio è stato di pagarmi il farmaco di tasca mia.
Insomma ho diritto a un farmaco, devo fare una terapia per provare a rimediare all’errore di un medico e non posso esercitare il mio diritto a curarmi per non si sa bene quale stupido problema burocratico.

Intanto è intervenuta persino la farmacovigilanza che mi ha detto che il piano terapeutico è valido sul territorio italiano, quindi il medico lo può prescrivere. Ognuno dice cose diverse. Tra qualche giorno tornerò dalla dottoressa nella speranza che portandole tanto di mail della farmacovigilanza e dell’Asl si convinca e mi faccia la ricetta. Altrimenti dovrò cercare un ginecologo su Milano che conosca esmya e voglia scrivermelo. Magari se puoi lanciare una richiesta di aiuto tramite il blog mi faresti un grande favore, anche perché io a Milano non ho più un ginecologo di fiducia e poi siamo ormai ad agosto e credo che molti siano pure in ferie, quindi non saprei proprio a chi rivolgermi.
Ah dimenticavo. Il ginecologo del Niguarda mi aveva detto anche di mandargli il referto dell’esame per e-mail, cosa che ho fatto e gli ho anche chiesto di darmi un appuntamento per parlare della situazione. Chiaramente il mio obiettivo era di incontrarlo e dirgliene quattro, di certo non di farmi operare ancora lì. La sua risposta è arrivata dopo ben 2 settimane. 2 righe: “il mio consiglio è di intervenire in laparoscopia. Mi faccia sapere se vuole procedere con l’intervento”. Nessuna risposta alla mia richiesta di incontro. Quindi io dovrei decidere di farmi tagliare l’utero per e-mail, senza essere stata visitata e senza aver avuto informazioni su come si svolge l’intervento, cosa succede dopo, le complicanze, ecc ecc. Va bene che siamo nel pieno della rivoluzione digitale e non va più di moda parlarsi in faccia, ma forse la situazione sta un attimo sfuggendo di mano…
Credo di averti raccontato tutto per ora.

Il tuo blog è stata la risorsa più preziosa che ho trovato da quando ho iniziato a stare male. Ho scoperto cose che non sapevo e che i medici non mi dicevano e soprattutto mi sono sentita meno sola. Credo che l’aspetto più brutto di quando si affronta un problema di salute, più o meno importante, sia proprio la solitudine. Il peso emotivo che ti porti dentro e che solo tu conosci. Per quanto la tua famiglia o i tuoi amici ti stiano vicini nessuno capisce fino in fondo cosa provi, come ti senti ad aspettare la visita successiva, a girare mille medici con la stessa sensibilità di un camionista, a sentirti porre sempre la stessa domanda (vuole dei figli?), a fare terapie che il tuo corpo farà fatica a sopportare con il dubbio di finire comunque sotto i ferri.
È vero il fibroma è stradiffuso, più di quanto si pensi, ma il punto non è quello. Il punto è che ci vorrebbe più umanità, più buon senso, più sensibilità da parte dei medici. Dopotutto stiamo parlando di un organo che dà la vita, della sfera intima della donna, non è possibile essere costantemente superficiali e indelicati come è successo con me.

Il tuo blog mi ha tenuto compagnia e continua a farlo, grazie a te ho scoperto che ci sono donne che sanno esattamente cosa sto provando, che ci sono passate e che hanno superato tutto più forti di prima. Grazie a te possiamo condividere il nostro dolore e questo ce lo rende più sopportabile. Questo mi aiuta tantissimo, soprattutto quando mi assale la paura di vedermi tagliare l’utero, tutto per un errore di valutazione. Mi aiuta a essere più forte e speranzosa che prima o poi questo incubo finirà.
Grazie ancora per tutto quello che fai per noi!!

Lucia indecisa sul suo intervento in laparotomia: Torino o Avellino?

Lucia ha 32 anni d ha deciso di condividere la sua storia con tutte noi perché è alla ricerca di consigli e suggerimenti.

La sua storia ha inizio qualche mese fa quando, durante un semplice controllo ginecologico, scopre di avere due fibromi: il primo di 7.2 centimetri e il secondo di 5 centimetri.

Oltre all’amara scoperta, Lucia deve fare i conti con l’allarmismo (ingiustificato) della sua ginecologa che le propone una laparotomia d’urgenza. E come se non bastasse, le preannuncia una degenza lunga e difficile.

“Mi fa fare una risonanza magnetica con estrema urgenza” scrive Lucia  “analisi e markers tumorali, spaventandomi a morte. Il tutto senza darmi altre informazioni e asserendo che assolutamente i fibromi non potevano essere rimossi in laparoscopia”.

Fortunatamente Lucia prende tempo: riflette, si informa, coglie il suggerimento di un altro medico che le sconsiglia una laparotomia vista la sue giovane età, e la indirizza presso la Clinica Malzoni di Avellino dove il suo caso viene invece considerato da “codice bianco”. Nel corso della visita, inoltre, Lucia apprende che i suoi fibromi potranno essere asportati in laparoscopia. E questa è già un’ottima notizia.

Tuttavia, scrive Lucia, la lista d’attesa è piuttosto lunga.

Attualmente convivere con i fibromi non è invalidante ma non mancano disagi  come il gonfiore addominale e il flusso mestruale particolarmente abbondante.

Lucia è ora alla ricerca di donne che abbiano avuto esperienze non solo presso la Clinica Malzoni di Avellino, ma anche nella città di Torino dove probabilmente dovrà trasferirsi fra qualche mese. Difatti scrive: “Vi chiedo se conoscete un bravo ginecologo a Torino, o dintorni, che opera in laparoscopia e si affida a strutture ospedaliere o cliniche convenzionate. Dovrò affrontare tutto da sola, motivo per cui non mi potevo permettere una lunga degenza, e per me sarebbe importante che il personale della struttura ospedaliera o clinica, sia sufficientemente garbato”.

E conclude dicendo:  “potermi confrontare con voi, mi aiuta ad affrontare tutto con cuore più leggero e non come se avessi un enorme macigno sul petto“.

Cara Lucia, non c’è motivo di cedere alla tristezza!  Sono certa che avrai presto modo di confrontarti con chi ha vissuto esperienze positive in entrambe le città.

Grazie per aver condiviso con noi la tua storia!

Naturalmente restiamo in attesa del tuo lieto fine.

Un abbraccio

 

 

 

 

L’epilogo di Flora che scopre un fibroma grazie alla sua determinazione

Avevamo già raccontato la singolare vicenda di Flora, una donna che viveva come se avesse un fibroma, con tutti i disagi e i problemi che ben conosciamo.
Flora credeva di non conoscere il suo nemico. La sua ginecologa le parlava di un utero sano, di un problema forse “nervoso” nonostante il ciclo fosse abbondante e continuo.

Difatti un giorno, in preda al panico a causa di flusso abbondante e forti contrazioni all’utero, Flora chiamò la ginecologa che la rassicurò, anche questa volta, attribuendo all’assunzione della pillola Visanne una possibile causa. In quell’occasione la invitò anche ad assumere il Tranex, un antiemorragico, per bloccare il flusso.
Le condizioni di Flora però non fecero che peggiorare.

Dopo aver appreso, con grande stupore, che la ginecologa pensava di sottoporla a un’ecografia transvaginale non prima di qualche mese, Flora, supportata da suo marito, finalmente giunge a una decisione fondamentale: prenota privatamente un’ecografia.
Il giorno seguente, nello studio di una seconda ginecologa, ecco che Flora scopre il suo primo fibroma, di 5 cm.
<<La sera decido di festeggiare il mio fibroma cenando fuori. >> Scrive Flora << Si, festeggio. Perché non voglio né disperarmi né essere vittima.>>
Flora  è determinata, e non si arrende. Riesce a mettersi in contatto con uno specialista che la riceve nel giro di pochi giorni. Nel suo studio Flora finalmente si sente a suo agio. Il suo, non è più un problema fantasma, o peggio, un problema immaginario. Il dottore con lei è affabile, comprensivo ma soprattutto, non intende operarla o meglio, considera l’intervento come l’ultima spiaggia. Per questo motivo le parlare di Esmya aggiungendo che avrebbero cominciato assieme questo percorso, affrontando passo dopo passo, eventuali difficoltà.
Scrive Flora: <<E’ un dottore che ama le donne e rispetta le sue pazienti, non le fa sentire in colpa se si sono trascurate. Mi chiedo quante donne liquidate con superficialità ci siano. Mi piacerebbe dire loro che è giusto essere arrabbiate, tristi e avere paura, nessuno può toglierci questo diritto perché in fondo, solo chi ha tanta paura può avere anche tanta forza >>

Grazie di cuore per questa importantissima testimonianza, e per il tuo esempio di coraggio e determinazione. Attendiamo il tuo lieto fine, un grande abbraccio.

Giulia e il suo lieto fine

Di seguito la mail di Giulia ricevuta qualche giorno fa…

Buona sera, mi chiamo Giulia, scrivo al vostro blog, perché avrei piacere di condividere con voi la mia storia con un “maledetto fibroma” con la speranza che possa dare coraggio ad altre donne con il mio stesso problema.
Alcuni giorni fa, neanche una settimana, mi sono sottoposta ad una minilaparotomia per asportazione di un fibroma sottosieroso delle dimensioni di 6 cm x 5.7 cm x 6.3 cm, posto in zona posterolaterale dell’utero.
Scopro di avere questa massa per caso, circa un anno fa, quando decido di effettuare una visita ginecologica, a causa del mio ciclo che aveva iniziato ad essere troppo abbondante ed irregolare. La ginecologa a cui mi sono rivolta mi consiglia subito l’asportazione, sia in considerazione delle dimensioni già importanti, che non avrebbero più reso possibile l’assorbimento del fibroma sia in virtù della mia giovane età ( 26 anni ). Tuttavia decido di temporeggiare, perché stavo iniziando la tesi di laurea, e in laboratorio la mia presenza era costantemente richiesta. Così inizio la terapia con una pillola anticoncezionale, per tenere sotto controllo sia il flusso che i dolori mestruali, con la speranza che il controllo ormonale abbia un buon effetto anche sul mio fibroma.

Purtroppo questo non avviene, infatti ad Agosto 2016 le dimensioni della massa raggiungono quasi gli 8 cm di spessore, creandomi molti problemi ( minzioni frequenti, rapporti sessuali dolorosi, mestruazioni dolorose). A questo punto decido di rivolgermi ad un professore specializzato in fertilità della donna e fibromatosi uterina ( Giuseppe Morgante, prof. aggregato dell’azienda ospedaliera senese ). Il professore mi consiglia di sottopormi ad una terapia preventiva trimestrale con un antagonista del progesterone (Esmya) e poi procedere successivamente all’asportazione della massa. Il trattamento preoperatorio con questo farmaco nella migliore delle ipotesi avrebbe ridotto le dimensioni del mio fibroma, mentre nella peggiore sarebbe riuscito ad ammorbidirne il tessuto, senza lavorare sulle dimensioni. In entrambi i casi, l’operazione di asportazione sarebbe risultata più rapida e di conseguenza anche il post-operatorio. Durante questo trattamento l’unica cosa da controllare è stato l’endometrio, che è andato ad ispessirsi. (Non mi voglio dilungare sul meccanismo farmaceutico del farmaco, ma chi fosse interessata può contattarmi in privato, sono un chimico farmaceutico ).

Dopo un mese e mezzo di trattamento effettuo una nuova visita ginecologica dalla quale è possibile apprendere che il mio fibroma si è ridotto di ben 3 cm e mezzo!! A Gennaio mi sottopongo all’asportazione in minilaparotomia del fibroma, in anestesia totale presso il reparto di ginecologia di Siena. Ero molto preoccupata, perché non mi ero mai sottoposta ad intervento del genere, e non ero tanto impensierita dell’anestesia o dell’operazione, ma piuttosto del dolore post-operatorio. Il mio ricovero dura 4 giorni, dalla domenica al giovedì mattina. La domenica avviene la preparazione dell’intestino, mi fanno bere un purgante osmotico, che serve per depurare l’apparato digerente, nessun crampo o doloretto di pancia, tutto procede indolore. Il lunedì mattina mi vengono a prendere in camera per la sala operatoria, dove trovo il mio professore, tre infermiere e l’anestesista, che risolve su ogni mio dubbio in merito all’asportazione, poi mi dice di pensare ad una cosa bella.

Quando mi risveglio mi ricordo soltanto di aver sognato le Maldive, e a detta dei medici ero così tanto rilassata che continuavo a mettere il braccio libero dalla flebo sotto la testa, come si fa in spiaggia!! Gli infermieri e i dottori hanno aspettato il mio completo risveglio prima di riportarmi in camera, dove tutta la mia famiglia mi stava aspettando! Il pomeriggio prosegue tranquillo, con le infermiere che vengono a controllarmi ogni due ore, così come i medici. Il martedì è stato il giorno un pochino più duro, perché è quello in cui l’anestesia totale scompare del tutto, ma anche in questa occasione non ho percepito il minimo dolore o fastidio, mi sentivo un po’ fuori fase. A 24 h dall’intervento decidono di sospendermi la morfina, perché sono proprio a io chiederlo, infatti se da un lato l’oppioide è un eccellente analgesico dall’altro mi sedava troppo. Nonostante la sospensione dalla morfina non percepisco il minimo dolore, neanche il giorno successivo, quando i professori, vedendo che il post-operatorio stava volgendo per il meglio, decidono di farmi mangiare dei biscotti e togliermi il cateterino! Così riesco a fare anche i primi passi da sola! Che soddisfazione! Arrivo a giovedì e anche il mio intestino decide di risvegliarsi, così i dottori decidono di dimettermi.

Adesso è sabato, sono passati 5 giorni dall’intervento, devo effettuare una terapia domiciliare di una settimana, che prevede l’assunzione di antibiotici ed integratori di ferro, ma posso già alzarmi, vestirmi, lavarmi e prepararmi i pasti in modo autonomo. Tra qualche giorno dovrò andare a togliere i punti, ma sono in rapida ripresa.
Il consiglio che mi sento di dare a tutte le donne con un maledetto fibroma è quello di rivolgervi ad un ginecologo che sia esperto in fibromatosi uterina, che possa indirizzarvi verso la strada migliore. Infatti negli ultimi anni la chirurgia mini invasiva ha fatto passi da gigante, tanto è vero che per questo tipo di asportazioni di usano quasi esclusivamente la laparotomia e la minilaparatomia ( anche per fibromi di 10-13 cm con trattamento farmacologico prevenitivo, perchè una volta che il tessuto è stato ammorbidito si riescono ad aspirare grandi masse anche da piccoli taglietti ). Tuttavia è necessario che il ginecologo che vi segue sia informato sull’evoluzione del trattamento dell’utero fibromatoso.
Un forte abbraccio e un grande in bocca al lupo a tutte voi!!

Grazie Giulia per aver condiviso la tua storia e per la tua disponibilità a fornirci qualche informazioni in più su Esmya, la sfrutteremo sicuramente!